Si al termine del rimborso Iva per garantire la certezza del diritto

Si al termine del rimborso Iva per garantire la certezza del diritto

I giudici della Corte Ue chiariscono che è coerente con la disciplina unionale una disciplina nazionale che prevede un termine di decadenza per la presentazione di una domanda di rimborso dell’Iva risultante da una riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di mancato pagamento totale o parziale di una fattura.

La fattispecie

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte, in particolare, sull’interpretazione dell’articolo 90 della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un consorzio all’amministrazione finanziaria bulgara in merito al rifiuto di quest’ultima di concedere al consorzio una rettifica dell’Iva da essa assolta per crediti non pagati dai debitori.

L’attività del consorzio consiste nella costruzione di edifici e impianti.

La controversia è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue, tra le altre,  alcune questioni, con cui il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se l’articolo 90, paragrafo 1, di tale direttiva, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un termine di decadenza per la presentazione di una domanda di rimborso dell’Iva risultante da una riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di mancato pagamento totale o parziale di una fattura emessa da un soggetto passivo.

Le valutazioni della Corte Ue

L’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva Iva prevede che, in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. Tale disposizione impone agli Stati membri di ridurre la base imponibile dell’Iva e, quindi, l’importo dell’Iva dovuta dal soggetto passivo ogni volta che, successivamente alla conclusione di un’operazione, non viene percepita dal soggetto passivo una parte o la totalità del corrispettivo.

Tale disposizione costituisce espressione di un principio fondamentale della direttiva Iva, secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente percepito ed il cui corollario consiste nel fatto che l’amministrazione tributaria non può percepire a titolo dell’Iva un importo superiore a quello che aveva percepito il soggetto passivo.

L’articolo 90, paragrafo 2, della direttiva Iva dispone che, in caso mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo, gli Stati membri possano derogare all’obbligo di ridurre la base imponibile dell’Iva previsto dall’articolo 90, paragrafo 1, di tale direttiva.

A tal proposito, la Corte ha affermato che una disposizione nazionale che, nell’elencare le situazioni in cui la base imponibile viene ridotta, non contempli quella del mancato pagamento del prezzo dell’operazione, dev’essere considerata come risultato dell’esercizio, da parte dello Stato membro, della facoltà di deroga concessagli in attuazione dell’articolo 90, paragrafo 2, della direttiva Iva.

Nel caso in esame, la normativa nazionale non prevede alcuna rettifica in caso di non pagamento del prezzo dell’operazione soggetta ad Iva.

Pertanto, la Bulgaria ha esercitato la sua facoltà di deroga all’obbligo di ridurre la base imponibile in caso di mancato pagamento, con la conseguenza che il soggetto passivo non può avvalersi di tale diritto.

Tuttavia, tale facoltà di deroga, limitata ai casi di non pagamento totale o parziale, è fondata sull’idea secondo cui il mancato pagamento della controprestazione può, in alcune circostanze e in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro in questione, essere difficile da verificare oppure avere carattere puramente temporaneo.

Da ciò deriva che l’esercizio di tale facoltà di deroga dev’essere giustificato, affinché i provvedimenti adottati dagli Stati membri ai fini della sua attuazione non compromettano l’obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla direttiva Iva, e che tale facoltà non può consentire loro di escludere del tutto la riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di non pagamento.

Riconoscere, infatti, la possibilità per gli Stati membri di escludere qualsiasi riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di non pagamento definitivo sarebbe in contrasto con il principio di neutralità dell’Iva, da cui discende in particolare che, nella sua qualità di percettore di imposte per conto dello Stato, l’imprenditore deve essere interamente sgravato dall’onere dell’imposta dovuta o assolta nell’ambito delle sue attività economiche a loro volta assoggettate all’Iva.

In tale contesto, da un lato, l’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva Iva soddisfa le condizioni per produrre un effetto diretto e dall’altro, la facoltà di deroga prevista al paragrafo 2 di tale articolo mira unicamente a consentire agli Stati membri di combattere l’incertezza legata alla riscossione delle somme dovute e non disciplina la questione se una riduzione della base imponibile dell’Iva possa non essere effettuata in caso di mancato pagamento definitivo.

Inoltre, l’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva Iva può essere direttamente applicabile quando lo Stato membro non autorizza alcuna riduzione della base imponibile, in caso di non pagamento totale o parziale, senza prendere in considerazione il grado di incertezza quanto alla definitività di tale non pagamento.

Per quanto riguarda la limitazione nel tempo del diritto alla riduzione della base imponibile, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la possibilità di presentare una domanda di rimborso dell’Iva senza tale limitazione contrasterebbe con il principio della certezza del diritto, il quale esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai suoi diritti e obblighi nei confronti dell’amministrazione tributaria, non possa essere messa in discussione indefinitamente

Peraltro, la Corte ha dichiarato, per quanto riguarda il regime della detrazione dell’Iva, che un termine di decadenza la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non diligente, che abbia omesso di richiedere la detrazione dell’Iva a monte, privandolo del diritto a detrazione, non può essere considerato incompatibile col regime instaurato dalla direttiva Iva, purché, da un lato, tale termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (principio di equivalenza) e, dall’altro, che esso non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione (principio di effettività).

Di conseguenza, per quanto riguarda la normativa nazionale che fissa un termine di decadenza scaduto il quale è irricevibile la domanda di rimborso dell’imposta, l’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva Iva non osta a tale limitazione temporale del diritto alla riduzione della base imponibile.

Inoltre, se è vero che l’esistenza di un termine di decadenza, la cui scadenza ha come effetto di non consentire più a un creditore di chiedere la riduzione della base imponibile dell’Iva relativa ad alcuni crediti, non può essere di per sé considerata incompatibile con la direttiva Iva, la determinazione della data dalla quale inizia a decorrere tale termine rientra nella sfera del diritto nazionale, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

Per quanto riguarda, più in particolare, il principio di effettività, dalla giurisprudenza della Corte Ue si deduce che un termine di decadenza che sia iniziato a decorrere dalla data di emissione delle fatture iniziali e che sia scaduto, per alcune operazioni, prima della presentazione della domanda di compensazione non potrebbe essere validamente opposto all’esercizio del diritto alla riduzione dell’Iva se il soggetto passivo non ha dato prova di mancanza di diligenza, e in assenza di abusi o di collusione fraudolenta.

A tal proposito, alla luce del principio di neutralità dell’Iva, da cui deriva che l’imprenditore, che garantisce il prefinanziamento dell’Iva riscuotendola per conto dello Stato, è interamente sgravato dall’onere di tale imposta nell’ambito delle sue attività economiche soggette all’Iva, il dies a quo del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla riduzione della base imponibile, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva Iva, deve presentare un nesso sufficiente con la data a partire dalla quale il soggetto passivo, agendo diligentemente, può avvalersi di tale diritto.

Inoltre, in assenza di disposizioni nazionali sulle modalità di esercizio del diritto alla riduzione della base imponibile in caso di non pagamento totale o parziale, i principi di proporzionalità e di certezza del diritto esigono che il dies a quo del termine di decadenza sia identificabile dal soggetto passivo con una probabilità ragionevole.

La Corte osserva al riguardo che l’incertezza connessa alla definitività del non pagamento potrebbe essere presa in considerazione accordando la riduzione della base imponibile dell’Iva allorché il creditore segnali, prima dell’esito della procedura di insolvenza o di liquidazione, l’esistenza di una probabilità ragionevole che il credito non sarà saldato, anche a rischio che tale base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento comunque avvenga.

Spetterebbe quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove della probabile prolungata durata del non pagamento che il creditore deve fornire, in funzione delle specificità della normativa nazionale applicabile. Un simile modus procedendi sarebbe ugualmente efficace per conseguire l’obiettivo previsto ma, al contempo, meno gravoso per il creditore, il quale assicura l’anticipo dell’Iva riscuotendola per conto dello Stato

Tale rilievo vale, a fortiori, nel contesto di procedure di insolvenza o di liquidazione, nelle quali la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita, in linea di principio, solo al termine di un lungo periodo. Un termine del genere è, in ogni caso, tale da far sopportare agli imprenditori soggetti alla normativa che prevede tali procedure, nei casi di non pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri che sarebbe manifestamente in grado di compromettere l’obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla direttiva 2006/112.

Nel caso di specie, spetta al giudice del rinvio, determinare la data a partire dalla quale il Consorzio avrebbe potuto, senza dar prova di mancanza di diligenza, far valere il suo diritto alla riduzione della base imponibile in caso di non pagamento totale o parziale, in particolare alla luce di un’eventuale irrecuperabilità dei suoi crediti.

Conclusioni

Pertanto la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 90 della direttiva Iva, in relazione ai principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e di effettività, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro che preveda un termine di decadenza, per la presentazione di una domanda di rimborso dell’Iva risultante da una riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di non pagamento totale o parziale, la cui scadenza ha come conseguenza di sanzionare il soggetto passivo non sufficientemente diligente, purché tale termine inizi a decorrere solo dalla data in cui tale soggetto passivo ha potuto, senza dar prova di mancanza di diligenza, far valere il suo diritto alla riduzione. In mancanza di disposizioni nazionali relative alle modalità di esercizio di tale diritto, il dies a quo di tale termine di decadenza deve essere identificabile dal soggetto passivo con ragionevole probabilità.

Data sentenza

29 febbraio 2024

Numero causa

C- 314/2022

Nome delle parti

Consortium Remi Group AD

contro

Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Varna pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite,



Fonte: https://www.fiscooggi.it/
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