Senza bollatura di fine contratto, i canoni non percepiti fanno reddito

Senza bollatura di fine contratto, i canoni non percepiti fanno reddito

In caso di locazione commerciale, fino a quando la risoluzione del contratto non viene registrata, i canoni concorrono alla determinazione del reddito imponibile anche se non percepiti. Pertanto, la mancata esecuzione della formalità della registrazione rende inopponibile all’Amministrazione finanziaria la stessa risoluzione. Lo ha statuito la Cassazione, con l’ordinanza n. 746 del 9 gennaio 2024.

La questione controversa è originata dal ricorso con il quale un contribuente impugnava un avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2007, era stato rettificato il reddito ai fini Irpef. Con detto atto impositivo, l’ufficio rilevava che la ricorrente non aveva dichiarato il reddito relativo a una locazione a uso commerciale di un immobile sito in Spoleto, regolata da un contratto del 15 dicembre 2005. La Ctp di Perugia dichiarava inammissibile il ricorso per tardività; decisione confermata dalla Ctr Umbria su appello di parte.

I giudici di secondo grado evidenziavano che, seppure il contratto di locazione fosse stato stipulato nel 2005, la registrazione era avvenuta solo il 15 febbraio 2008; che la successiva risoluzione era stata comunicata a mezzo modello F23 solo il 13 marzo 2008 e che il fallimento della società conduttrice era stato dichiarato il 2 aprile 2009.
Rilevavano, per l’effetto che, sotto il profilo fiscale, quanto avvenuto prima della registrazione del contratto era irrilevante; che, trattandosi di locazione a uso diverso, non era applicabile l’articolo 8, comma 5, della legge n. 431/1998; che anche un documento del 2007, il quale provava l’accordo risolutivo, stante la dichiarazione del rappresentante legale della società conduttrice di non aver corrisposto i canoni, era intempestivo rispetto ai redditi 2007 dello stesso; che la risoluzione consensuale non aveva effetto retroattivo; che la mancata percezione dei canoni non escludeva l’obbligo di dichiararli e che non vi era nemmeno prova di un procedimento giudiziario per il recupero dei canoni non percepiti.

La contribuente ha impugnato tale ultima decisione, affidando il ricorso per cassazione a due motivi di doglianza:

  1. violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 26 Tuir assumendo che tale norma, pur individuando una presunzione di incasso dei canoni di locazioni ad uso diverso, va applicato sino a prova contraria;  
  2. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Censurava la sentenza per non aver preso in esame la dichiarazione del legale rappresentante della società affittuaria che aveva confermato il mancato pagamento dei canoni e la dichiarazione di fallimento di quest’ultima.

I giudici di legittimità, con l’ordinanza n.746 dello scorso 9 gennaio, ritenendo infondate le due eccezioni, così come prospettate, hanno rigettato il ricorso della contribuente.
In linea generale, la Cassazione ha ricordato l’orientamento consolidato, sul punto, in base al quale il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali ultimi opera, invece, la deroga introdotta dall’articolo 8 della n. 431/1998 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto, atteso che il criterio di imputazione di tale reddito è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione (cfr Cassazione nn. 20661/2020, 12332/2019 e 19240/2016).

L’applicazione, al caso in esame, dell’articolo 26 del Tuir, non ne implica un’interpretazione costituzionalmente illegittima, in quanto la capacità contributiva desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità (Corte Costituzionale n. 362/2000).
Secondo quanto precisato dalla stessa Consulta, il sistema che fa riferimento, per la determinazione del reddito dei fabbricati, al canone risultante dal contratto di locazione è del tutto eccezionale e deve accordarsi nel contesto di un sistema che pone la regola per cui i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione.
Sicché esso potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico.
 
Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 cc) e il locatore pretenda la restituzione, essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 cc), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 cc), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale (cfr Cassazione nn. 12332/2019 e 19240/2016).

Nel caso in esame, trattandosi di immobili locati a fini commerciali, non è dubbio che i canoni di locazione non percepiti nell’anno 2007 dovevano comunque essere dichiarati e concorrere alla formazione del reddito.
Solo a seguito della registrazione della risoluzione i canoni di locazione non sono più soggetti a imposizione, trovando applicazione l’ordinaria tassazione catastale dell’immobile.
Infatti, con specifico riferimento ai contratti di locazione, si ricorda che gli articoli 3 e 17 del Dpr n. 131/1986 individuano, in maniera esplicita, gli eventi successivi alla conclusione del contratto, che devono essere autonomamente assoggettati a registrazione e tra questi vi è anche la risoluzione, la quale, pertanto, deve essere registrata in termine fisso, anche se stipulata verbalmente o se il relativo contratto venga redatto nella forma della scrittura privata non autenticata.
La risoluzione, quindi, rientra tra gli eventi che devono obbligatoriamente essere portati a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria secondo le modalità di cui al richiamato articolo 17.
La registrazione dell’accordo risolutivo costituisce, dunque, un obbligo fiscale alla cui omissione consegue il persistere dell’obbligazione tributaria.
La mancata esecuzione di tale formalità rende tale atto, con specifico riferimento alla presunta data della risoluzione del contratto, inopponibile all’Amministrazione finanziaria.

Ai sensi dell’articolo 2704 cc, la data della scrittura privata, della quale non è autenticata la sottoscrizione, non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento.

La Cassazione ha già chiarito, che sulla base della normativa tributaria vigente, nella nozione di terzo, cui fa riferimento l’articolo 2704 cc, è compresa anche l’Amministrazione finanziaria, titolare di un diritto di imposizione in qualche misura collegato al negozio documentato e suscettibile di pregiudizio per effetto di esso (cfr Cassazione n. 15352/2021).

Secondo i supremi giudici, pertanto, la Ctr umbra si è attenuta a questi principi.
Ha ritenuto, infatti, che, trattandosi di locazione commerciale, i canoni concorressero alla determinazione del reddito del 2007 anche se non percepiti; che la risoluzione del contratto era stata registrata solo nel 2008 e che la scrittura rilasciata nel 2007, anche a volerla considerare, era anch’essa intempestiva.

In sintesi, quindi, solo a seguito della registrazione della risoluzione i canoni del contratto di locazione di immobile commerciale non sono più soggetti a imposizione ai fini delle imposte sui redditi: da questo momento trova applicazione l’ordinaria tassazione catastale (articolo 26 del Tuir).
Ciò perché l’articolo 17 del Dpr n. 131/1986 impone la registrazione degli eventi successivi alla registrazione, tra cui anche la risoluzione del contratto, anche se formata verbalmente.
Pertanto, la mancata esecuzione della formalità della registrazione rende inopponibile all’Amministrazione finanziaria la risoluzione del contratto, “con specifico riferimento alla presunta data della risoluzione”.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale