La concessione di misure protettive in tema di composizione negoziata

La concessione di misure protettive in tema di composizione negoziata

Le misure concesse all’impresa per risanare la crisi non pregiudicano, secondo il collegio, le prospettive creditorie, considerato che la società, nel frattempo, non aveva aggravato le proprie passività. Il tribunale di Piacenza, con ordinanza del 5 gennaio 2024, ha affermato alcune rilevanti considerazioni in tema di misure protettive nell’ambito della composizione negoziata.

Prima di vedere lo specifico caso, si ricorda che, di fronte all’aumento delle imprese in difficoltà, il legislatore ha introdotto uno strumento per prevenire e affrontare situazioni di crisi: la composizione negoziata della crisi d’impresa (Cnc).

Tale strumento dovrebbe permettere il risanamento delle imprese in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che, tuttavia, hanno ancora le potenzialità per restare sul mercato, con concrete prospettive di risanamento.

Tali imprese possono dunque richiedere alla Camera di commercio la nomina di un professionista esperto nella ristrutturazione, che le affianchi nelle trattative con i creditori, individuando idonee soluzioni per superare la situazione di difficoltà.

Non si tratta di una procedura concorsuale. Tuttavia, come nelle procedure concorsuali (quali il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti), per salvaguardare il buon esito delle trattative e la possibilità di superare la crisi viene concessa all’imprenditore la possibilità di beneficiare di “misure protettive” del proprio patrimonio da eventuali iniziative dei creditori.

La composizione negoziata ha quindi natura stragiudiziale, almeno finché il debitore non intenda beneficiare di misure protettive, che devono essere richieste al tribunale, in sede di istanza iniziale di richiesta di nomina dell’esperto o con istanza successiva. E nel decidere se concedere o meno tali misure il tribunale terrà comunque in considerazione la valutazione prognostica del risanamento dell’impresa.

Tanto premesso in termini generali, nel caso di specie, il giudice aveva accolto l’istanza con cui era stata richiesta la proroga delle misure già concesse, rinnovandole per l’ulteriore durata di 120 giorni.

Avverso tale provvedimento uno dei creditori della società aveva proposto reclamo, lamentando l’illegittimità della proroga e deducendone, per quanto di interesse, l’insussistenza dei presupposti per mancanza di effettive trattative con i creditori e difetto di progressi concreti finalizzati al raggiungimento di un accordo.

Il collegio, nel respingere il reclamo, evidenzia che, ai fini della concessione della proroga, è necessaria la verifica della attualità delle misure rispetto al fine di assicurare il buon esito delle trattative e la sussistenza, quindi, del fumus boni iuris e del periculum in mora, che si declinano, rispettivamente, nella sussistenza di concrete prospettive di risanamento e nella strumentalità della proroga a consentire lo stesso risanamento all’esito delle trattative (tribunale di Padova, 12 ottobre 2022, tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 20 ottobre 2022 e tribunale di Mantova, 9 marzo 2023).

Nel momento in cui il creditore o altre parti contestino la perdurante strumentalità delle misure, il collegio ritiene poi che vada operato un bilanciamento tra gli opposti interessi in campo, anche al fine di evitare una eccessiva compromissione dei diritti dei creditori. E tale bilanciamento è rilevabile nel confronto tra gli effetti del mantenimento delle misure e l’eventuale danno o pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie.

Tanto premesso, nel caso in esame, la società aveva dedotto di avere la necessità di ulteriore tempo per finalizzare le trattative per l’ingresso nella compagine sociale di investitori esterni.

Il tribunale evidenzia quindi che, in un tale contesto, residuava a suo avviso la funzionalità delle misure protettive già concesse, laddove, peraltro, il progetto di risanamento era fin dall’origine fondato proprio sulla necessità di reperire un investitore esterno, in assenza del quale era anche impossibile formulare un giudizio prognostico sulla fattibilità del piano.

La finalizzazione del closing era del resto legata a complesse attività di due diligence da parte del terzo interessato, che richiedevano ancora tempo.

La perdurante aspettativa di finalizzare l’ingresso di un nuovo soggetto nella società rispondeva del resto anche all’interesse dei creditori, in quanto solo tale evento avrebbe potuto consentire al debitore di formulare una concreta offerta economica, con conseguente avanzamento delle trattative.

Il mantenimento delle misure, pertanto, secondo il collegio, non pregiudicava le prospettive creditorie, anche considerato che, nel frattempo, la società non risultava “bruciare cassa” e quindi aggravare il proprio passivo.

In sostanza e al di là dello specifico caso, è opportuno ricordare che con le misure protettive il legislatore ha riconosciuto la necessità di una tutela protettiva anticipata alla fase delle trattative, purché nell’ambito di un percorso di composizione in cui l’imprenditore sia assistito, nel negoziato con i creditori, da soggetti indipendenti, dotati di specifiche professionalità, e che sia garantito ai creditori stessi il controllo giudiziale sulla perdurante idoneità delle misure concesse a favorire il superamento della crisi tramite una soluzione concordata.

L’accesso alle misure protettive è del resto subordinato alla domanda giudiziale dell’imprenditore e assoggettato al sindacato del tribunale, chiamato a decidere, in tempi rapidi, al fine di verificare le condizioni processuali e i presupposti sostanziali per il riconoscimento della tutela e a stabilirne la durata.

Certo, sussiste comunque, anche in questo caso, il divieto di abusare delle prerogative processuali, laddove l’istituto dell’abuso del diritto rappresenta un limite all’azione del titolare del diritto stesso e trova applicazione anche in materia concorsuale.

Lo stesso principio viene quindi in considerazione tutte le volte in cui la domanda non sia presentata al fine realizzare il suo scopo tipico, ma, in violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento ha predisposto lo strumento processuale (Cassazione n. 9935/2015, n. 5677/2017, n. 8982/2021).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale