Spese di lite compensabili anche in caso di autotutela

Spese di lite compensabili anche in caso di autotutela

La compensazione delle spese di giudizio trova spazio qualora l’annullamento dell’atto, in sede di autotutela, non consegua a una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, ma derivi, invece, dall’obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà (articolo 88, cpc).

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3556 del 07 febbraio 2024, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di compensazione delle spese di giudizio, possibile anche in caso di annullamento dell’accertamento in autotutela.
Nel caso in esame, una società con sede in Svizzera, quale incorporante di altra compagine, aveva impugnato l’atto impositivo emesso dall’Agenzia, con il quale era stata contestata l’indebita detrazione Iva per il 2007, relativa a un’operazione di cessione di beni, acquistati dalla consociata italiana, che, secondo l’ufficio, costituiva in realtà cessione di ramo d’azienda e, quindi, operazione esente, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b), del Dpr n. 633/1972.
 
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che gli elementi a base dell’accertamento non fossero sufficienti per la riqualificazione del contratto.
L’appello dell’Amministrazione veniva poi rigettato dalla Commissione tributaria regionale, secondo la quale, nel caso in questione, vi era stata cessione di merci nell’ambito di un’operazione di riorganizzazione del gruppo, finalizzata al conseguimento di economie di scala, e non cessione di un complesso aziendale.
Avverso tale sentenza, l’Amministrazione finanziaria proponeva, infine, ricorso per cassazione.
Nelle more, avendo poi l’ufficio provveduto all’annullamento in autotutela dell’atto impositivo impugnato, l’Avvocatura dello Stato aveva chiesto l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con richiesta di compensazione delle spese di giudizio.
A tale compensazione si era però opposta la controparte, che ne aveva chiesto la liquidazione a suo favore.
 
La suprema Corte, quanto alla regolamentazione delle spese del giudizio, rilevava, a tal proposito, che, in caso di cessazione della materia del contendere, si provvede mediante il criterio della soccombenza virtuale.
I giudici di legittimità aggiungevano che, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ai sensi dell’articolo 46, primo comma, del Dlgs n. 546/1992, per cessazione della materia del contendere determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato, può essere comunque disposta la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’articolo 15, primo comma, del medesimo decreto, laddove questa venga decisa all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario (cfr Cassazione, pronunce nn. 19947/2010, 9174/2011; 3950/2017 e 21380/2006).
 
La compensazione, rileva la Corte di legittimità, trova infatti spazio, in particolare, qualora l’annullamento dell’atto in sede di autotutela non consegua a una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato, sussistente sin dal momento della sua emanazione, ma derivi, invece, dall’obiettiva complessità della materia, magari poi chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo anzi, in tal caso, detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà (articolo 88 cpc), che può essere premiato appunto con la compensazione delle spese (cfr Cassazione n. 22231/2011).
Evenienza che, secondo la Corte, ricorreva anche nel caso in esame, che, data l’alternatività tra Iva e imposta di registro, non restava indifferente alle vicende relative all’articolo 20 del Dpr n. 131/1986, espressamente indicato nel motivo di ricorso tra le norme violate.
Tale norma, ricorda infatti la Cassazione, era stata modificata dalla legge n. 205/2017, alla quale, è stata poi riconosciuta efficacia retroattiva (articolo 1, comma 1084, legge n. 145/2018. Ius superveniens che, pertanto, giustificava senz’altro, nel caso concreto, la compensazione integrale delle spese di lite.

Tanto premesso, in ordine allo specifico caso processuale, la Cassazione ricorda, comunque, che le gravi ed eccezionali ragioni che possono giustificare la compensazione, totale o parziale, delle spese, devono essere indicate esplicitamente nella motivazione, non possono essere illogiche o erronee, e devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (cfr Cassazione n. 17988/2019).

Come conferma la pronuncia in commento, in ogni caso, tra le gravi ed eccezionali ragioni possono rientrare la novità, peculiarità od oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto affrontate nel giudizio, o modifiche normative, pronunce della Corte costituzionale e della Corte comunitaria.
Ma certamente non ragioni di “equità”, o di tipologia della controversia; o comunque formule di stile che non ottemperano al dettato normativo.

Quanto al dettato normativo, si evidenzia, infine, che il recente Dlgs n. 220/2023 ha sostituito il comma 2 dell’articolo 15 del Dlgs n. 546/1992, stabilendo che le spese di lite siano compensate, in tutto o in parte, non soltanto in caso di soccombenza reciproca e quando ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, da indicare espressamente in motivazione, ma anche quando la parte sia risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi, che la stessa abbia prodotto solo nel corso del giudizio.
Nel comma 2-nonies è stata inoltre anche introdotta l’espressa previsione, secondo cui, nella liquidazione delle spese, si tiene altresì conto del rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza degli atti di parte.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale