07 Nov Presunzione utili extracontabili, serve una rigorosa prova contraria
I giudici della Corte di Cassazione hanno approfondito l’argomento della prova necessaria a vincere la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nel contesto della ristretta base societaria. Con la sentenza n. 26473 del 10 ottobre 2024, hanno affermato che tale prova deve essere “molto rigorosa” e non può limitarsi a delle semplici enunciazioni o allegazioni generiche. I giudici di Piazza Cavour accolgono il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria contro una sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte: i giudici di merito avevano ritenuto convincente la difesa del contribuente nella parte in cui aveva argomentato e documentato, attraverso atti bancari, la propria estraneità alla gestione societaria.
Nell’aderire alla tesi proposta dall’Agenzia delle entrate, quella di carenza di prova contraria, la Corte di Cassazione ribadisce la sua posizione sulla legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati in capo alla società, nel caso in cui ci si trovi in presenza di una struttura “a ristretta a base partecipativa”.Lo fa confermando, fra l’altro, l’ininfluenza dell’invalidità di rito dell’avviso emesso in capo alla società (per un approfondimento si veda la sentenza n. 26471/2024, emessa in pari data di quella che qui si commenta) e l’irrilevanza della novella normativa di cui all’articolo 7, comma 5 bis, Dlgs n. 546/1992, che lascia pertanto invariato l’onore probatorio già vigente in materia (tra le ultime, ordinanza della Cassazione n. 12575/2024).
I giudici di legittimità, riconosciuta la presunzione di distribuzione degli utili, si sono soffermati sulla tipologia e sulla forza della prova contraria idonea a vincere la presunzione di cui sopra, dando atto della presenza di due orientamenti:
- uno che ha individuato quale prova contraria posta a carico dei soci, quella della dimostrazione di un avvenuto accantonamento o reinvestimento degli utili non dichiarati; la tesi è stata esposta in arresti anche recenti, come la sentenza n. 21158/2024, dove viene enunciato il principio di diritto per cui il socio “non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma deve dimostrare … che i maggiori ricavi non siano stati effettivamente realizzati dalla società, che quest’ultima non li abbia distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne sia appropriato altro soggetto”
- l’altro, invece, riconosce la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio, mediante la dimostrazione della propria assoluta estraneità alla gestione e conduzione della persona giuridica; anche tale impostazione è stata di recente sostenuta (fra le ultime, ordinanza n. 18764/2024).
L’elemento che tuttavia accomuna entrambi i filoni giurisprudenziali è la pervasività della prova negativa idonea a vincere la presunzione di distribuzione: tale prova, infatti, non può limitarsi né a delle semplici affermazioni riguardanti il disinteresse alla gestione societaria, né ad una limitata produzione documentale assolutamente incapace di identificare la precisione, gravità e concordanza atte a sorreggere la presunzione contraria.
Nel caso di specie il contribuente, oltre ad affermare il suo disinteresse a qualsiasi aspetto economico-gestionale e il semplice esercizio dell’attività di tecnico, ha prodotto documentazione bancaria al fine di dimostrare il mancato incasso delle somme accertate quali utili extracontabili.
A fronte di ciò gli Ermellini, nella sentenza in esame, affermano che “la prova dell’estraneità totale del contribuente alla gestione e conduzione societaria avrebbe dovuto essere molto rigorosa (…) senza limitarsi a richiamare genericamente una non meglio precisata documentazione bancaria”. Nella stessa decisione, inoltre, si legge come l’Agenzia abbia buon gioco a sostenere che gli utili extracontabili, non venendo percepiti in forme e modalità tracciabili, per loro stessa natura non transitano nei conti corrente bancari.
Pertanto, la prova contraria che il contribuente può proficuamente opporre all’Amministrazione finanziaria deve necessariamente essere certa, convincente, composta da indizi concordanti e documentata in modo compiuto e rigoroso.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale