08 Nov Prezzo di vendita inferiore al mutuo: valida la rettifica del reddito
L’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente senza che ciò comporti alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 25854 del 27/09/24, in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa.
I fatti di causa
L’Agenzia delle entrate, con apposito atto di accertamento debitamente notificato a una società immobiliare, recuperava a tassazione maggiori ricavi non dichiarati per l’anno di imposta 2005, irrogando le relative sanzioni.
In particolare, l’Agenzia contestava alla società che in relazione all’anno 2005 e per alcune cessioni immobiliari erano indicati dei prezzi di vendita che, successivamente ad attività bancarie investigative, si erano rivelati inferiori all’importo dei mutui accesi dagli acquirenti e alle perizie redatte per l’accensione degli stessi.
La società ha impugnato l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, contestando gli addebiti mossi dall’Ufficio e l’insufficienza delle presunzioni utilizzate dall’amministrazione. La Ctp, tuttavia, ha respinto il ricorso.
Differentemente la Commissione tributaria regionale, a cui la società ha proposto ricorso, ha accolto l’impugnazione.
L’Agenzia delle entrate, quindi, ricorreva in Cassazione contro la pronuncia di merito.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 39 e 41-bis del Dpr n. 600/1973 e dell’articolo 54 del Dpr n. 633/1972 in quanto, a parere dell’Ufficio ricorrente, la sentenza del giudice tributario regionale non aveva valutato adeguatamente gli elementi presuntivi offerti in ordine all’inattendibilità del prezzo indicato nelle compravendite e, soprattutto, aveva svalutato la circostanza – fondamentale – che i mutui accesi dagli acquirenti riguardavano somme superiori al prezzo in questione.
Con il secondo motivo di ricorso, l’Amministrazione finanziaria ha dedotto la violazione e la falsa applicazione delle norme summenzionate nonché degli articoli 115 del codice di procedura civile e 2697 del codice civile in quanto la sentenza è censurata nella parte in cui considera fatto notorio la circostanza che gli acquirenti abbiano ottenuto perizie sovrastimate per conseguire somme maggiori a titolo di mutuo.
Le norme rilevanti
L’articolo 39 comma 1 lettera d) del Dpr 600/1973 afferma che l’ufficio provvede alla rettifica dei redditi di impresa delle persone fisiche qualora l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulti dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo di completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili.
L’esistenza di attività non dichiarata o l’inesistenza di passività dichiarate, in ossequio alla norma in argomento, è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici purché le stesse siano dotate dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
L’articolo 54 del Dpr n. 633/1972, rubricato “rettifica delle dichiarazioni”, inoltre, prevede che l’Ufficio Iva proceda alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando ritiene che l’imposta è inferiore a quella dovuta o in presenza di un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante.
Tali norme devono essere lette alla luce degli articoli 115 cpc e 2697 cc che sono posti a fondamento del secondo motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.
L’articolo 115 cpc, in particolare, concernente la disponibilità delle prove, prevede che il giudice ponga a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti specificatamente contestati dalla parte costituita.
Il comma 2 della medesima norma, però, disciplina il “fatto notorio” prevedendo che il giudice, senza bisogno di prova, può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
I fatti che costituiscono il fondamento della situazione di diritto devono essere provati da chi voglia far valere un diritto in giudizio ai sensi dell’articolo 2697 cc e, ancora, chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.
La decisione della Corte di cassazione
La Suprema corte, intervenuta sulla questione, in riferimento alle compravendite e agli immobili all’origine dell’accertamento ha statuito che è stata acquisita sia adeguata documentazione bancaria sia la perizia di stima redatta ai fini della erogazione del mutuo e che entrambi questi documenti recano un valore superiore a quello dichiarato negli atti di trasferimento.
Tali elementi corroborano un quadro indiziario caratterizzato da gravità, precisione e concordanza che è idoneo, altresì, a giustificare l’accertamento dell’Ufficio ai sensi dell’articolo 39 comma 1 lettera d) del Dpr n. 600/1973.
Tale è stato l’indirizzo costante sostenuto dai giudici di legittimità (Cassazione n. 4076/2020) e, per tale ragione, la sentenza impugnata ha errato laddove non ha tenuto conto degli elementi della fattispecie emersi dagli atti.
In tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, sostiene la Corte, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente e ciò non comporta alcuna violazione in materia di onere della prova.
Le presunzioni di cui all’articolo 2729 cc non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Spetta ai giudici di legittimità stabilire se la predetta norma, oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta.
La Suprema corte, accogliendo il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, ha ritenuto che la sentenza impugnato ha violato i principi di diritto costantemente affermati dai giudici di legittimità in materia di fatto notorio.
È stata, difatti, attribuita tale natura al “dato di comune esperienza che vengano effettuate perizie che sovrastimano l’immobile per consentire la stipulazione di contratti di mutuo di maggiore importo”.
La Corte di cassazione, dunque, ritenendo fondati entrambi i motivi di ricorso esposti, ha accolto il ricorso cassando la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente e ha affermato il seguente principio di diritto: il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonché quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale